Alice Visentin
Everyday Mystery
Inaugurazione: giovedì 3 ottobre 2024; 18-21
4 ottobre – 20 dicembre, 2024
Martedì-sabato; 11-18
Gió Marconi, Via Tadino 15, Milano
Un baluginare di forme – più o meno distinte – popola le tele di Alice Visentin. Sovrapponendosi e infiltrandosi l’una nell’altra, sembrano emergere o dissolversi, come se fossero catturate in un fluido divenire.
Visentin lascia che l’acqua, l’ombra delle piante e altri fattori esterni definiscano il fluire iniziale dei colori base, per poi delineare, quasi abbozzare, creature e figure, sopra le quali o lungo le quali traccia singole lettere o intere parole. Un senso di abbandono, di perdita di controllo, perfino di trance emana da questi dipinti, un desiderio di casualità che prelude al mistero. In questa rinuncia al controllo vige un senso di spontaneità che dona alle opere un effetto ipnotico: un mondo accogliente, magico e liquido di immagini e storie. Queste immagini e queste storie non sono figure immaginarie: sono cose, scene, espressioni e simboli che fanno parte della nostra quotidianità, riconoscibili e familiari. Mele e lingue possono trovarsi le une accanto alle altre, così come una luna, un occhio lacrimoso, un angelo, due persone che condividono un letto, dei cuori, un volto sbigottito, una scarpa.
Visentin evoca questo mondo onirico da un’infinità di generi che partono dalla storia della lanterna magica ai cartoni animati per giungere fino al segno distratto degli scarabocchi. La politica visiva che sta dietro a questa estetica è ben lontana dall’idea del pittore dal tratto concettuale, chiaramente riferibile e collocabile entro un certo canone. Ricorda piuttosto l’interesse surrealista di sfidare ogni logica nella rappresentazione. Tuttavia, a differenza del surrealismo, Visentin non si chiede il “perché”, il come mappare la psiche, ma è più interessata all’esperienza del sensuale e forse, più che sbloccare l’inconscio dell’autrice, i dipinti rappresentano l’allegoria di un sé che si trasforma in un altro sé. Sono guidati da un senso di trasformazione più profondo e corporeo, in cui il sé si sposta, si evolve e si dissolve costantemente nel mondo che lo circonda: un io in divenire. Chi non conosce l’artista, potrebbe pensare che le opere siano frutto di un lavoro collettivo: realizzate non da due ma da più mani, non con un ritmo costante ma con diversi ritmi.
Retroilluminata, in modo che fronte e retro si fondano, la tela piatta si svolge in uno spazio fittizio che racchiude una stratificazione di frammenti onirici, a metà tra pittura, gioco d’ombre e disegno di scena. Su un tavolo, brandelli di tela sono disposti a mo’ di libri. Muovendosi tra le opere, queste si relazionano con il corpo, creano spazi meditativi fatti di grovigli di forme che alludono a paesaggi, volti, espressioni, animali mitologici, piante e molto altro. L’allestimento appare quasi arcaico, come se si trattasse di pitture rupestri custodi di memoria con una storia da raccontare, reminiscenti di un senso storico profondamente consapevole del proprio scarto dalla realtà.
Tuttavia, se guardano al passato, guardano anche al futuro, in un libero gioco di rimandi volto a forgiare un nuovo vocabolario per cercare, ancora una volta, di incantare il mondo.
Geraldine Tedder